Una carta del mondo che non contiene il Paese dell'Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l'Umanità approda di continuo. E quando vi getta l'ancora, la vedetta scorge un Paese migliore e l'Umanità di nuovo fa vela.
Oscar Wilde, L'anima dell'uomo sotto il socialismo, 1891

La cartografia è la scienza che si avvale di supporti come le carte geografiche o i globi ai fini della rappresentazione simbolica, ma veritiera, della superficie terrestre o di sue parti. Fin dall'antichità sono esistite carte geografiche itinerarie, nautiche, politiche, topografiche e tematiche. Il primo a redigere una mappa dell'Ecumene, porzione di Terra conosciuta e abitata dall'uomo, è Anassimandro di Mileto, (c. 610 a.C.–c. 546 a.C.).
Nonostante gli uomini creino carte da migliaia di anni, il loro studio scientifico è relativamente recente: la disciplina accademica e la professione del cartografo nascono infatti solo nel XIX secolo. Basti pensare che fino all’avvento della carta di Arno Peters (1973), che descrive accuratamente le proporzioni delle terre emerse e mostra le reali dimensioni dei continenti, la mappa maggiormente in uso era ancora quella del 1569 di Gerardo Mercatore, scienziato e cartografo fiammingo che, nell’era delle esplorazioni verso il Nuovo Mondo, aveva riportato su una proiezione cilindrica un mondo dove la riproduzione di Europa, Asia Centrale e America del Nord era dominante rispetto a quella delle aree a sud dell’Equatore. Questa rappresentazione eurocentrica evidenzia come le carte non siano strumenti scientifici oggettivi e come esse siano tradizionalmente collegate alle diverse visioni del mondo e ai sistemi di potere.
In Del rigore nella scienza (1946), Jorge Louis Borges descrive un paese fantastico in cui l’arte della cartografia ha raggiunto un tale grado di perfezione per cui i Collegi dei Cartografi sono riusciti a erigere una mappa dell’Impero che uguagliava in grandezza l’Impero stesso. L’autore ironizza così sul ruolo del cartografo che per rappresentare è chiamato a ridurre e selezionare le informazioni.
Per quanto precisa e realistica, infatti, una mappa si avvale della scrittura, di elementi grafici e di sintesi artistica, per creare una rappresentazione sostanzialmente illusoria dello spazio fisico. Come asserisce il cartografo John Brian Harley: “le mappe sono troppo importanti per essere lasciate unicamente ai cartografi. Effettivamente la cartografia moderna è oggetto di ricerca da parte di diverse discipline e riscuote un grande interesse anche in ambito artistico. Mapping It Out: An Alternative Atlas of Contemporary Cartographies (2014) è una recente pubblicazione curata da Hans Ulrich Obrist che coinvolge 130 professionisti appartenenti al mondo dell’arte, del design, dell’informatica e della scienza nell’ideazione di un atlante alternativo per l’interpretazione del mondo contemporaneo. Numerose sono inoltre le mostre sul rapporto tra arte e cartografia (per citarne alcune: Cartes et figures de la terre, Centre Georges Pompidou, Parigi, 1980; Map- ping, Museum of Modern Art, New York, 1994), e centinaia gli artisti che si cimentano con il tema.
Tra i primi esempi si annovera senza dubbio la Mappa surrealista pubblicata nel 1929, in cui non figurano gli Stati Uniti d’America mentre l’Afghanistan è grande quanto l' India e, al cospetto di nazioni gigantesche come Russia, Cina, Messico e le isole del Pacifico, tutta l' Europa, in cui non compaiono Francia e Italia, risulta minuscola.
Famosissima la ricerca di Alighiero Boetti che per circa vent’anni, a partire dal 1971, realizza più di duecento mappe del planisfero che riportano caratteristiche formali e bandiera nazionale di ciascuno stato del mondo. Le mappe di Boetti sono un'esaltazione colorata e unitaria della differenze e, al contempo, una critica del sistema geopolitico contemporaneo.
La denuncia è anche il fine dell’opera di Luciano Fabro che nella serie dedicata all’Italia (Mappa delle strade d’Italia, 1989; Italia di cartoccio, 1970; Italia d’oro, 1971; Italia Cosa Nostra, 1968-71; Italia all’asta, 2004) rappresentata con materiali diversi una penisola capovolta, impiccata o trafitta.
Diversamente, Jasper Johns conserva, in Map (1961), le proporzioni generali della carta degli Stati Uniti d’America, ma tramite uno spesso strato di colore altera i confini e sovverte i nomi degli stati con degli stencil. La sua mappa invita lo spettatore a un'analisi ravvicinata di quest’oggetto così familiare e al contempo immaginario.
Altri artisti rappresentano carte fantastiche e giocano con il tema del non-luogo, citando l’esistente, rovesciandone i contenuti, variando la scala e cercando la complicità dello spettatore. Tra questi, Wim Delvoye, che nei suoi Atlas riproduce degli atlanti con formazioni territoriali, nomi, meridiani e paralleli di pura invenzione, o Emilio Isgrò che, in una carta geografica immaginaria, Wienerwald (1974), e in Mappamondo (2008), cancella la toponomastica.
Diverso il lavoro di Mona Hatoum che con i materiali più impensabili, ad esempio centinaia di biglie trasparenti o saponi all’olio di oliva punteggiati di perline, crea sbalorditivi quanto fragili planisferi. Da questo breve excursus non possiamo escludere, infine, quegli artisti contemporanei come Jon Rafman, Michael Wolf o Jenny Odell, che rielaborano la presunta oggettività fotografica di immagini e momenti catturati dall'occhio elettronico di Google Maps e Street View, contemporanei strumenti per la mappatura del mondo.
Si comprende, dunque, come artisti e cartografi si cimentano nella riproduzione della realtà: indicando i confini precari o le ingiustizie geopolitiche e continuando a cercare ed evidenziare la verità nascosta oltre l’astrazione simbolica delle mappe, l’arte può agire dove la scienza cartografica non arriva e riempire di ulteriori significati la rappresentazione del mondo.