Cominciai ad acquistare l’arte precolombiana e primitiva e nelle settimane successive mi ritrovai orgogliosa proprietaria di dodici fantastici oggetti di artigianato: si trattava di maschere e sculture della Nuova Guinea, del Congo Belga, del Sudan Francese, del Perù, del Brasile, del Messico e della Nuova Irlanda.
Peggy Guggenheim, Una Vita per l’Arte, Rizzoli, Milano 1982

Il Primitivismo è una corrente culturale che si sviluppa tra il XIX secolo e i primi anni del Novecento. A seguito della pubblicazione di studi antropologici e di testi di grande successo come il Discorso sulle scienze e le arti (1750) del filosofo svizzero Jean-Jacques Rousseau, che individua nello "stato di natura" la condizione ideale dell’umanità, o La vita nei boschi (1845-1847) di Henry David Thoreau, nel quale l’autore racconta il ritorno a una vita sobria ed essenziale, diversi intellettuali e movimenti europei rivolgono l’attenzione alle manifestazioni artistiche e culturali delle cosiddette civiltà primitive. Il termine Primitivismo è dunque etnocentrico, ovvero non si riferisce all’arte etnica in quanto tale, ma all’interesse e al conseguente dibattito culturale che essa suscita in occidente. Vocabolo oggi in uso alla storia dell’arte, esso viene utilizzato per la prima volta con l’odierna accezione nell’opera Nouveau Larousse Illustré, pubblicata tra il 1897 e il 1904. All’attenzione nei confronti dell’“art négre”, terminologia inizialmente utilizzata per definire l’arte africana poi giunta a indicare anche l’arte oceanica, negli anni venti del Novecento si aggiunge l’interesse verso la produzione giapponese, egizia, persiana, cambogiana, facendo preferire la definizione più ampia di arte etnica o primitiva.
L’approccio di Peggy Guggenheim a questo genere di arte risale ai tempi della sua relazione con Max Ernst, appassionato collezionista di maschere inuit, sculture dei popoli della Nuova Guinea e della Nuova Irlanda e soprattutto di cosiddette “bambole” kachina, raffigurazioni miniaturizzate realiste di legno scolpito con abiti di stoffa e pelle. Nella sua autobiografia Peggy scrive che Ernst: “trovò un negozio con delle maschere indiane meravigliose, totem e bambole kachina: avrebbe voluto comprare tutto”. Il negozio in questione è di Julius Carlebach, ebreo tedesco rifugiatosi in America prima della guerra, amico di André Breton ed esperto conoscitore della Heye Foundation, punto di riferimento nella formazione del gusto primitivista negli artisti. Sarà proprio Carlebach a vendere, in seguito, a Peggy alcune opere che entreranno a far parte della sua collezione costituita da una cinquantina di manufatti, trentacinque dei quali sono tutt’oggi conservati a Palazzo Venier dei Leoni.
La raccolta di arte etnica di Peggy Guggenheim rappresenta un piccolo compendio delle principali tendenze del gusto primitivo. Peggy espone maschere, manufatti e figure antropomorfe tribali al fianco di capolavori del Novecento con la consapevolezza di come il primitivismo abbia rappresentato un impulso estremamente significativo per lo sviluppo dell’arte d’avanguardia. Considerandone il valore estetico, questi oggetti assumono, oltre alla funzione decorativa di raffinati elementi d’arredo scelti secondo il gusto e la moda del tempo, anche un ruolo didattico.
A Parigi, nel 1855 apre il Musée Permanent des Colonies e nel 1878 il Museo Etnografico inaugura una sezione dedicata all’arte africana. La diffusione e l’accessibilità di questi reperti, esposti nelle  numerose mostre che organizzate in tutte le principali città europee come Lipsia (1892), Anversa (1894), Bruxelles (1897), Colonia (1912), Parigi (1907, 1917, 1919), oltre a scritti come La scultura negra di Carl Einstein (1915) e agli studi antropologici ed etnografici del tempo, influenzano diversi esponenti delle avanguardie.
Si è soliti individuare in Paul Gauguin l’iniziatore della tendenza primitivista, anche se più probabilmente sono Henri Matisse e alcuni esponenti del movimento fauvista i primi a contaminare la loro ricerca artistica con elementi dell’arte etnica. Essi sono seguiti da artisti quali Pablo Picasso, Constantin Brancusi, gli espressionisti tedeschi e i surrealisti, tra i più accaniti collezionisti del genere. Nonostante questa trasversalità d’interesse, nel panorama artistico si possono individuare due atteggiamenti diversi: da un lato, un’attitudine romantica con il mito della fuga dall'Occidente, il ritorno all’innocenza, il rifiuto della società moderna e l’ideale dell’espressività istintiva e primordiale; dall’altro un’attenzione più strettamente stilistica e formale.
Matisse, Pablo Picasso, Georges Braque, Fernand Léger, Constantin Brancusi, Alberto Giacometti, Amedeo Modigliani riconoscono all’apparente semplicità stilistica nell’arte etnica una grande raffinatezza estetica e la capacità di sintesi plastica. I cubisti mostrano una preferenza per la scultura africana che si presenta frontale ma fortemente tridimensionale e tattile, mentre i surrealisti prediligono oggetti provenienti dall’Oceania generalmente più piatti, pittorici e incorporei e spesso costituiti da materiali trovati ai quali essi associano un immaginario fantastico e valori di irrazionalità quali la fuga dalla realtà, inconscio ed estasi.
Difficile non scorgere in alcuni capolavori degli inizi del secolo scorso citazioni e somiglianze con opere di arte etnica. Ne Les Demoseilles d’Avignon (1907) di Picasso la figura femminile di sinistra ha una posa riconducibile all’arte egizia, mentre le donne più a destra hanno volumi corporei e maschere di chiara derivazione africana. Nella produzione artistica di Picasso gli esempi sono numerosissimi: è possibile confrontare Chitarra (1913) a una maschera grebo della Liberia, Bagnante con palla (1932) a un uccello senufo della Costa d’Avorio, Testa di donna (1943) a una testa pende del Congo. Forte è l’influenza dell’arte tribale dell’Africa anche nella serie delle Cariatidi di Modigliani, una dozzina di dipinti eseguiti tra il 1911 e il 1913, così come nelle sue sculture. La Donna che cammina (1936) di Alberto Giacometti, invece, rappresentata con il piede sinistro leggermente avanzato, sembra riprendere le figure frontali dell’antico Egitto. Sappiamo inoltre che Giacometti arriva alle sue famose figure allungate anche a seguito della sua acquisita familiarità con alcuni oggetti come le “sculture palo” dell’Africa Orientale, e le sculture Nyamwezi della Tanzania di cui l'artista osserva un esemplare dal collezionista Andre Lefebvre. Nella Madame L.R. (1914–17) di Brancusi si vede l’influenza delle sculture Mumuye della Nigeria, così come in Maiastra (1912) e La musa addormentata (1910) si riconosce il riferimento alla scultura africana. Altri esempi li troviamo nell’opera di Ernst, che nella sua Testa di uccello (1934) riproduce una maschera Tusyan della Costa d’Avorio, mentre alcuni lavori di Anton Pevsner possono essere ricondotti alle maschere Dan della Costa d’Avorio.
Vediamo dunque che gli artisti di inizio Novecento importano elementi “primitivi” nella loro produzione reinterpretandoli secondo la propria specifica ricerca. Nella maggior parte dei casi purtroppo, artisti e intellettuali individuano nelle opere di arte etnica valori che non coincidono con i reali intenti degli autori. Ciò nonostante, per le avanguardie il Primitivismo interpreta un’importante forza rinnovatrice contribuendo alla rivoluzione estetica, formale e tematica dell’arte occidentale moderna. 

Progetti realizzati
Imaginaria mundi. Primitivismo e avanguardie

Imaginaria mundi. Primitivismo e avanguardie

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