Arte, segno e tradizione

Nome della scuola:

Scuola dell'infanzia Maria Pezzè Pascolato dell'I.C.D.

Docenti responsabili:

Alessandra Michieletto

Altri docenti partecipanti:

Alzetta Brigo, Rinaldo Tagliapietra

Numero di studenti coinvolti:

43

Premessa

 Fin da quando è in grado di tenere un artefatto in mano, il bambino scarabocchia, tira righe, pasticcia sul muro e su ogni superficie che gli capiti a tiro. Sembra così manifestare l’urgenza di dare conto di sé attraverso segni che, a prima vista, sembrano indecifrabili, mentre sono discorsi sensati ed eloquenti: rappresentano il suo modo di comunicare al mondo che esiste e che è in grado di lasciare una traccia.

Il bambino ha spesso un linguaggio verbale spoglio ma una grande ricchezza espressiva e di comunicazione che si realizza nei segni con i quali esprime se stesso in modo meno misterioso perché i segni completano la comunicazione verbale e viceversa. Anche quando traccia una ventina di segni quasi uguali ai suoi occhi essi sono rappresentazioni certe e limpide che raccontano una storia od esprimono semplicemente il piacere del segno e del colore.

Inoltre esercitandosi ad usare in modo corretto gli strumenti che fanno segno, il bambino sollecita un’armoniosa coordinazione dei movimenti, si abitua ad organizzare idee ed impulsi in uno spazio prestabilito e condiviso, formulando strategie ed ipotesi.

Se la pennellessa fa campitura, il pennello sottile fa segno del colore, diverso lo spazio che riempie e da riempire, diversa la pressione, diversa la postura e la rielaborazione meta cognitiva.

Dal piacere di un alfabeto dei colori ad un alfabeto dei segni che accompagna alla scrittura.

Perché nel momento in cui i segni espressivi del bambino si trasformano in un segno di matita o di pastello, evolvono da certi scarabocchi di base a simboli ben identificati ed universali. Sono modelli di base che gradualmente nel tempo si trasformano nella rappresentazione cosciente degli oggetti percepiti: il segno sostitutivo diventa immagine visiva.

Metodologia

L’esperienza didattica è stata calata all’interno di una scuola pensata come un grande lavoratorio (definizione data da un bimbo di 5 anni), all’interno del quale le proposte partono dal far fare esperienza diretta ai bambini, dove loro vengono posti in situazioni problematiche aperte, situazioni che attivino il loro bagaglio conoscitivo, nel tentativo di individuare quello che Vigostkij definisce “ il livello giusto di complessità”, né troppo alto, né troppo basso. La scuola è diventata così un luogo dove scoprire, costruire, trasformare, creare, attraverso la materia, attraverso i materiali più vari, attraverso gli strumenti più diversi, in un ascolto attento degli input raccolti fra i bambini.

Il gioco, l’osservazione, l’esperienza e l’esplorazione diretta che portano a scoperte ed alla formulazione di ipotesi spesso anche scientifiche ma ingenue, la lettura ad alta voce, la drammatizzazione, la conversazione, legate alle proposte didattiche di apprendimento. Come gli artisti della Guggenheim i nostri piccoli alunni hanno sperimentato che materie e materiali più diversi sono in grado di fare segni. Non solo quindi i classici supporti di colore, ma anche corde, spaghi, trasparenze, polveri, supporti euristici di diversa consistenza e materiale.

Nodi tematici

: Primo. Il fare concreto del bambino che da solo però non basta. I bambini credono sia sufficiente osservare una cosa o un gesto per poterlo ripetere facilmente. Rimangono malissimo, quando, provando direttamente, si accorgono di non essere capaci e abbandonano immediatamente il lavoro. Sembrano dire: “Se non ci riesco, non mi interessa”. L’interesse (a volte si tratta di un vero e proprio entusiasmo) finisce istantaneamente, così com’era cominciato. Per questo, ed è il secondo nodo tematico, è stato scegliere attività realmente fattibili dai bambini così da mantenere alta l’attenzione, l’interesse, la motivazione e l’autostima del bambino.

Il piegare le mani in gesti e movimenti inusuali, prima molto difficili, poi sempre più dominabili fino quasi a diventare automatici, costringe la mente a pensare a ciò che sta facendo e questo consente di acquisire consapevolezza del proprio operare, di cercare soluzioni sempre più funzionali, di riconoscere strategie che testimoniano (che sono espressione e al contempo costruiscono e consolidano) il proprio modo di imparare, il proprio stile cognitivo, il proprio approccio alla conoscenza.

Il filosofo Wittgenstein diceva: “La mia mano sa più della mia mente”. Di sicuro la mia mano è fondamentale, ma è nella mia mente che si formano concetti, categorie, strategie di azione. Perché questo passaggio si realizzi esiste però, una condizione imprescindibile: la scuola deve assumere la responsabilità di proporre (di costruire, se ce n’è bisogno) esperienze di apprendimento mediato (terzo nodo tematico). Di cosa si tratta? I bambini partecipano ad un’esperienza diretta, ma senza la mediazione culturale dell’adulto, difficilmente questa partecipazione sarà in grado di produrre apprendimento. Perché l’intervento sia efficace deve rispondere a tre criteri: deve essere intenzionale, non affidato al caso, all’estemporaneità, all’occasione. Deve avere il carattere della trascendenza, ovvero non puntare ad un risultato (che spesso si traduce in un prodotto) immediato, ma va considerato come il mezzo più idoneo per raggiungere un obiettivo più generale, che appunto lo trascende (proprio come le produzioni artistiche). Infine deve trattarsi di un’esperienza significativa per chi la vive: gli oggetti, le esperienze non sono neutrali, devono avere un significato educativo e motivazionale. La qualità dei processi non può essere separata dai contenuti: dipende in larga misura dalla loro scelta.

Grande centralità è stata data al lavoro collaborativo di gruppo (quarto nodo tematico e che può essere identificato con l’appartenenza ad una corrente o ad un movimento artistico e di pensiero) per la creazione di opere fonte di rispetto per l’altro (che può essere più competente in un campo nel quale io mi sento più debole) e luogo di mediazione di conflitti. Perché, lavorando insieme, il tutto non solo è più della somma delle parti ma è anche più bello perché più articolato.