Arte e cinema

Le prime sperimentazioni attorno alla cosiddetta “settima arte”, il cinema, avvengono verso la fine dell’Ottocento quando il fotografo Eadweard Muybridge, tramite sequenze di scatti consecutivi, infonde per la prima volta movimento all’immagine. A queste indagini si uniscono importanti invenzioni, come quella del kinetoscopio di Thomas Edison e del cinematografo dei fratelli Lumière, che determinano un cambiamento epocale nel sistema narrativo e nei processi di comunicazione e di espressione artistica. L’avvento della pellicola risponde, infatti, alle riflessioni sulla rappresentazione del tempo, del movimento e della velocità, approfondite da cubisti e futuristi. Se indagare le potenzialità della quarta dimensione rappresentando simultaneamente più punti di vista è la soluzione formale dell’avanguardia cubista, raffigurare la velocità e il dinamismo degli oggetti in movimento è l’ambizione dei futuristi italiani. E non a caso, proprio i futuristi vedono nel cinematografo il mezzo ideale per un’arte dinamica e figlia del progresso tecnologico, tanto che Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto della cinematografia futurista (1916) eleva il cinema a forma artistica poliespressiva, “eminentemente futurista” poiché priva di passato e libera da tradizioni. Nel dipinto Bambina che corre sul balcone (1912), Giacomo Balla moltiplica nello spazio il soggetto ritratto, come in una pellicola cinematografica. Pablo Picasso ne Il poeta (1911) rappresenta visioni multiple della persona ritratta, come se vi girasse attorno, sintetizzandole in un’immagine composta. La fascinazione verso le ricerche cubiste è riscontrabile anche nel dipinto Nudo (studio), Giovane triste in treno (1912) di Marcel Duchamp, artista che indirizzerà il proprio interesse verso il cinema, realizzando, in collaborazione con Man Ray, Anemic Cinema (1926), film dadaista ipnotico e dissacrante. Entr’acte (1924) di René Clair è un film nato per essere proiettato durante l’intervallo tra i due tempi di un balletto e costituito da diversi episodi evocativi ma privi di logica. Qualche anno prima, Man Ray lancia Retourn à la raison (1923), cortometraggio dove oggetti, come chiodi e puntine, impressi sulla pellicola con la stessa tecnica dei suoi Rayogrammi, danno origine a immagini cinetiche dagli effetti allucinatori. Il breve corto si chiude con la sensuale apparizione del torso di Kiki de Montparnasse, soprannome della musa di molti artisti dell’epoca. Kiki compare, mentre si dondola su un’altalena, anche in Ballet mécanique (1924), film di Fernand Léger in cui persone, oggetti, forme e colori si muovono con ritmi differenti come in una danza. Un chien andalou (1929) degli artisti spagnoli Luis Buñuel e Salvador Dalí presenta, invece,  una serie di immagini sconcertanti come reminiscenze di un incubo inquietante. Più tardi anche Peggy Guggenheim scommette sul cinema, producendo Dreams That Money Can Buy di Hans Richter (1948), un lungometraggio in sei episodi ideati da Fernand Léger, Marcel Duchamp, Max Ernst, Alexander Calder e Man Ray. Tutte queste esperienze, che confluiscono in quello che oggi viene definito “cinema d’avanguardia”, influenzeranno grandi registi come Federico Fellini, nei cui film si susseguono immagini evocative che fluttuano in una dimensione sospesa tra realtà e sogno.