NOIA E ATTESA

Il seme che cresce e diventa pianta poi fiore e frutto, la metamorfosi del bruco in farfalla, le fasi lunari o il ciclo delle stagioni sono solo alcuni dei processi naturali che per aver luogo necessitano di un tempo di attesa. Il verbo “attendere” deriva dal latino ad- (verso) e tĕndĕre e significa, letteralmente, rivolgere l’animo a qualcosa. Nell’attesa c’è un presentimento del futuro che innesca aspettative e proietta l’attenzione verso ciò che accadrà piuttosto che sul momento presente. Per lo psicologo Sigmund Freud l’attesa è non solo ciò che dà senso al nostro tempo, ma anche ciò che ci impedisce di vivere appieno il presente. La noia, invece, è il senso di insofferenza che può derivare dall’attesa prolungata, dall’inattività, dall’ozio o da un’occupazione monotona e ripetitiva; la noia è dunque strettamente legata a una dimensione temporale immobile e sospesa. In età romana la noia prende il nome di taedium vitae. Lucio Anneo Seneca ne tratta, ad esempio, nel De tranquillitate animi (50 d.C. circa), riflettendo sulle continue oscillazioni dell’animo umano tra lo stato di otium e di negotium. In epoca romantica la noia è considerata una conseguenza della società borghese, ritenuta incapace di generare stimoli intellettuali e sociali. Nel libro Alice nel paese delle meraviglie (1865) è proprio un momento di noia che porta la protagonista a seguire il Coniglio bianco e introdursi nel mondo onirico e fantastico magistralmente descritto da Lewis Carroll. Oggigiorno, lo stato di noia costituisce un diritto riservato all’infanzia: diritto del bambino al tempo libero per fermarsi, per osservare, interrogarsi, meravigliarsi e alimentare fantasia, intraprendenza, comprensione di sé e degli altri. Luis Sepúlveda narra questo concetto di tempo in Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza (2013), descrivendo un piccolo mondo lento, fatto di cieli, sguardi, sorrisi e tanti dettagli che solitamente si perdono nella quotidianità frenetica. Diversamente, nel capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry la volpe propone al Piccolo Principe di diventare amici quale antidoto alla monotonia della vita e alla ripetitività delle giornate. In questo contesto, l’attesa diventa la risposta alla noia, durante la quale poter pregustare la felicità dell’incontro. Dall’antichità fino all’Illuminismo, il tema dell’attesa viene inteso come prova della forza d’animo dell’eroe o dell’autenticità dell’amore. La lunga attesa termina solitamente con una giusta ricompensa: Penelope, ad esempio, attende ben vent’anni per riabbracciare Ulisse, mentre Robinson Crusoe, vive ventotto anni su un’isola deserta prima di essere tratto in salvo da una nave. L’attesa è altresì uno degli stati caratteristici dell’uomo moderno, della sua condizione di solitudine e della vacuità dell’esistenza. Emblematica in questo senso è l’opera teatrale Aspettando Godot (1948-49) di Samuel Beckett, in cui, tra gesti ripetitivi, pause e silenzi, tutto appare immobile, in un tempo sospeso dove nulla sembra accadere. Nel Novecento molti artisti offrono una rappresentazione degli stati di noia e attesa: La noia (1924) è il titolo di un’opera di Walter Richard Sickert e il tema affrontato nel dipinto Giovane decadente (1899) di Ramón Casas o di Ragazza sul tappeto rosso di Felice Casorati (1912). L’attesa (1915-25) è il titolo del dipinto
di Vincenzo Irolli oggi conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, mentre Concetto spaziale. Attese costituisce un’importante serie di opere di Lucio Fontana in cui la ricerca attorno allo spazio assume la sembianza del silenzio, della pausa e di una realtà senza tempo, in una tensione atemporale sospesa e cristallizzata.

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