“Sono interessato alla matematica solo in quanto arte creativa”. Godfrey Harold Hardy, Apologia di un matematico, Garzanti, Milano, 2002
Nel VI secolo a.C. Pitagora, filosofo e matematico greco, definisce “amicabili” o “amici” due numeri che sono ciascuno la somma di tutti i divisori dell’altro. Queste due cifre sono pertanto diverse tra loro ma strettamente interconnesse l’una all’altra. Lo stesso si può dire del rapporto tra arte e matematica, due discipline apparentemente opposte ma, in realtà, complementari. Il matematico analizza la realtà avvalendosi di regole che ricerca all’interno della stessa; diversamente, l’artista applica i principi dell’arte e traduce la realtà ricomponendola con sguardo sempre diverso a fronte di condizioni storiche, geografiche o individuali.
La relazione tra le arti e la matematica è sempre stata riconosciuta e praticata: lo scultore greco Policleto, ad esempio, costruì la perfetta figura umana ricorrendo alla sezione aurea; Filippo Brunelleschi, scultore, architetto, ingegnere, per primo introdusse la prospettiva, poi disciplinata e divulgata da Leon Battista Alberti; infine, Leonardo da Vinci, nel 1490 circa disegnò l’Uomo vitruviano, celebre rappresentazione delle proporzioni ideali del corpo umano perfettamente inscritto in un cerchio e in un quadrato.
Grazie a un contesto culturale di rottura e di grande rinnovamento, nel Novecento questo rapporto di complementarietà tra le due discipline si arricchisce di ulteriori sfumature.
Nel Manifesto della Matematica futurista del 1940, Filippo Tommaso Marinetti con l’aiuto del matematico Marcello Puma, spiega così il rapporto tra matematica e Futurismo: “Il Futurismo italiano rinnova oggi anche la matematica. . . . . La nostra [è] matematica antifilosofica antilogica antistaticaˮ.
Il movimento futurista introduce una nuova modalità di lettura numerica che, combinata alla fisica contemporanea, alle scienze sociali e alle teorie statistiche, è funzionale alla traduzione del mondo. Per Marinetti, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Carlo Carrà e Pietro Angelini i numeri diventano strumenti utili alla ricerca di un impossibile equilibrio tra caso, volontà e progresso, come si può osservare nell’opera di Boccioni, Stati d’animo n. 1. Gli addii, del 1911.
Emblematiche in questo senso sono inoltre la ricerca artistica di Alighiero Boetti e quella di Mario Merz, per i quali i numeri diventano elementi chiave per l’interpretazione di una realtà intangibile. Merz, nello specifico, attribuisce alla serie di lavori sulla sequenza di Fibonacci una forte valenza concettuale, che lo porterà a far coincidere la matematica con l’esistenza stessa del mondo. Nella sua opera la dinamicità della sequenza esprime concretamente l’energia della natura e il suo inarrestabile divenire.
Diversamente, Sol LeWitt, uno dei principali esponenti del Minimalismo, si avvale di matematica e geometria e, più in particolare, della ripetizione, della modularità e delle varianti, per i processi di progettazione e concettualizzazione delle sue opere plastiche. Facendo proprie le regole assunte dalla geometria o, più in generale, mutuando logica, codici e processi analitici propri delle scienze matematiche, nel Novecento l’arte approda dunque a modalità d’elaborazione concettuale ed estetica rafforzate e rinnovate.