Interpretare
Interpretare

Un’opera (che sia un dipinto, una scultura, una poesia o una melodia) può essere fruita con l’osservazione ravvicinata, con la lettura lenta e appassionata oppure con un ascolto attento: abbandonarsi al godimento di un capolavoro mettendo in azione i propri sensi è solo una delle modalità di fruizione dell’opera, che sia essa visiva oppure no. Infatti, il piacere dato dall’incontro con l’arte è contestualmente accompagnato dal desiderio di conoscere il significato del soggetto o dell’oggetto rappresentato, di comprenderne il processo che ha portato alla sua creazione, di sapere chi è l’autore e il contesto in cui l’opera è stata realizzata.

Tutti questi elementi permettono di andare oltre il godimento puramente estetico e aprono le porte ad ancora un’altra aspirazione, quella di elaborare un’interpretazione di un oggetto artistico. Ma che cosa vuol dire “interpretare” un’opera d’arte? Decifrare, decodificare, cogliere una chiave di lettura per poi attribuire un significato anche rispetto al proprio vissuto: l’atto dell’interpretazione presuppone un cambio di prospettiva e un’azione intellettuale che porta il fruitore a “mettersi nei panni di”. Non a caso, con il sostantivo “interprete” si intende chi fa da intermediario e traduttore da una lingua all’altra per consentire la comprensione di un testo o di un discorso; chi si fa portavoce di un punto di vista di una persona esprimendolo a un’altra; chi interpreta un ruolo al cinema o al teatro immedesimandosi in un personaggio del copione; oppure chi esegue un pezzo musicale pur non essendone l’autore, ma interpretandone il messaggio o le intenzioni.

Nelle espressioni artistiche dell’‘800 e ‘900 – due secoli turbolenti segnati da rivoluzioni, conflitti mondiali e grandi cambiamenti sociali e culturali – l’artista sente la necessità di esprimere il proprio vissuto o quello della comunità di riferimento, facendosi interprete della Storia. Lo fu il pittore romantico Eugène Delacroix (1798–1863), autore del dipinto La libertà che guida il popolo, 1830, indimenticabile immagine che esalta la lotta per la libertà; o il pittore realista Gustave Courbet (1819–77), che nel 1855 scrive: “Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere, fare dell’arte viva, questo è il mio scopo”. 

L’energia della vita contemporanea è tradotta in equivalenti pittorici nelle opere di Fernand Léger (1881–1955) del periodo “meccanico”, come in Uomini in città, 1919; il senso di fragilità dello scorso secolo è restituito dalle figure sottili e spettrali di Alberto Giacometti (1901–66), come in Donna in piedi (Donna “Leoni”), 1947; i gesti vigorosi e svincolati da condizionamenti di Willem de Kooning (1904–97) interpretano la vitalità del dopoguerra e il vivace desiderio di libera espressione personale. In maniera speculare per chi osserva, l’opera d’arte costituisce uno specchio, autentico e senza filtri, nel quale riflettersi e compiere un atto di pensiero, un’interpretazione rispetto al proprio sentire, ai propri ricordi, alle proprie conoscenze del passato e ai propri desideri.

Il trattato L’interpretazione dei sogni, 1899, di Sigmund Freud ispira i/le surrealisti/e a creare paesaggi onirici popolati da elementi fantastici che possono presentare combinazioni paradossali di oggetti comuni, utili all’esplorazione delle pulsioni inconsce in una dimensione psicologica e filosofica. Un caso a sé costituisce l’artista Salvador Dalí (1904–89), il quale, pur aderendo al Surrealismo, ne dà un’interpretazione assolutamente personale, da lui stesso definita “metodo paranoico-critico”. Dalí dichiara che attraverso la sua arte intende trasmettere all’osservatore i conflitti psicologici più intimi, nella speranza di strappargli un’interpretazione personale empatica. 

Sono tante, infatti, le opere alle quali sono state date le interpretazioni più varie: il dipinto La vestizione della sposa, 1940, di Max Ernst (1891–1976) ricco di elementi simbolici e di personaggi ibridi misteriosi, è una delle opere della Collezione Peggy Guggenheim oggetto di tante interpretazioni, tutte a loro modo valide. Nell’opera Alchimia, 1947, di Jackson Pollock (1912–56), la superficie irregolare presenta tracce che assomigliano a numeri, simboli occulti, segni che sono stati oggetto d’interpretazioni, nessuna delle quali del tutto convincente.