L’alternanza tra momenti di solitudine e occasioni di socialità contraddistingue l’esistenza dell’uomo, ne influenza le scelte, i comportamenti e lo stile di vita. La solitudine è la condizione di isolamento fisico e sociale in cui l’individuo sperimenta l’assenza degli altri; talvolta è il risultato di scelte personali e deliberate, mentre in altri casi è l’effetto di situazioni venute a verificarsi a prescindere dalla volontà della persona. Ci sono persone che prediligono la solitudine mentre altre non possono rinunciare alla vita sociale, ma comunemente l’uomo tende ad alternare la ricerca di vita sociale a momenti di isolamento, intesi e vissuti come occasioni di distacco dal quotidiano. La solitudine è cantata da poeti e scrittori, è rappresentata dai pittori di tutti i tempi, ed è presente in diversi e molteplici campi del sapere. In matematica, ad esempio, esistono i numeri primi, cioè quei numeri interi positivi che hanno solo due divisori distinti: il numero 1 e se stessi. In modo similare, in chimica l’atomo, o elemento semplice, è l’unità fondamentale della materia, considerato, fino alla fine dell’Ottocento, l’elemento più piccolo e indivisibile di una sostanza. In ambito letterario sono molti gli autori che affrontano il tema della solitudine. In primis, Francesco Petrarca nel trattato De vita solitaria (1346–1356) esalta l’isolamento come condizione che preserva l’uomo dalle ambizioni mondane e lo induce a vivere il presente nel modo migliore possibile. Diversamente, per Giacomo Leopardi la solitudine è la condizioni propria dell’esistenza umana, causata dall’universale indifferenza che esiste tra ogni individuo; sulla base di tali considerazioni formula due temi centrali della sua opera: il principio della natura malvagia e il pessimismo cosmico. È celebre, inoltre, la poesia di Salvatore Quasimodo Ed è subito sera (1930) – “Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera” – che esprime l’incomunicabilità tra gli esseri umani che vivono il loro tempo fugace sulla terra senza curarsi degli altri. Il tema della solitudine viene interpretato, in modalità diverse, dagli artisti del XIX
e del XX secolo. Nel 1818 Caspar David Friedrich dipinge il Viandante sul mare di nebbia, quadro in cui un viaggiatore ritratto di spalle su uno spuntone di roccia scruta la vallata ricoperta da una fitta coltre di nebbia. Quest’opera intende comunicare la superiorità dell’uomo sulla grandiosità della natura e riassume i fondamenti dell’estetica romantica del sublime. In L’assenzio (1875–1876), Edgard Degas ritrae due avventori di un caffè parigino: pur essendo vicini,
i due personaggi, persi nei rispettivi pensieri e annebbiati dall’alcol, sembrano lontanissimi fra loro, imprigionati in due solitudini che sono destinate a non incontrarsi. Edward Hopper privilegia come soggetti le persone comuni raccontate nelle loro occupazioni quotidiane. Le sue opere raffigurano scene spesso desolate dove non compare più di una figura umana, e anche quando vengono rappresentati più soggetti tra loro vi è estraneità e incomunicabilità. Non a caso, in un’intervista pubblicata su “View” nel 1941 André Breton paragona Hopper a Giorgio de Chirico, che con La torre rossa (1913) esplora il tema della solitudine sollecitando nell’osservatore un senso di ansia e spaesamento tipico della Metafisica.