Blu

“Che cos’è il blu? È l’invisibile diventato visibile … Non ha dimensioni. E “oltre” le dimensioni di cui sono partecipi gli altri colori.” Yves Klein, Il mistero ostentato, Martano, Torino, 1970

Il blu era un colore poco utilizzato nell’arte antica, in quanto la sua estrazione dal lapislazzulo, pietra semipreziosa molto rara e costosissima, richiedeva un processo lento e complesso. I Greci, ad esempio, lo usavano principalmente come scurente, alla stregua del nero e del grigio. Sarà il Medioevo a sancirne la fortuna proprio a causa della preziosità del pigmento. L’utilizzo del blu in epoca medievale indica la ricchezza del committente e la volontà di ostentare opulenza e potere. Ne è testimonianza, ad esempio, la Cappella degli Scrovegni a Padova, in cui il blu prevale sugli altri colori della decorazione murale realizzata da Giotto tra il 1303 e il 1305. Il ricco banchiere Enrico Scrovegni fa erigere la cappella dedicata alla Beata Vergine in suffragio dell’anima sua e di suo padre Reginaldo, al fine di divulgare un’immagine positiva di sé presso la collettività. Nel tardo Medioevo, inoltre, la veste della Vergine comincia a essere dipinta di blu in segno di riverenza, devozione e come espressione dello status sociale del mecenate. Solo in seguito, il blu sarà associato al valore religioso di purezza. Sul finire del XII secolo, il re di Francia adotta il blu nel suo blasone, contribuendo all’ulteriore fortuna del colore oramai divenuto emblema distintivo “dei re, dei principi, dei nobili e dei patrizi”. Nei romanzi cavallereschi vengono difatti narrate le gesta dei cavalieri che di frequente sono rappresentati in abiti blu, e tutt’oggi i principi delle fiabe vengono definiti “azzurri” come se il colore fosse portatore del valore attribuito al personaggio. Nel Rinascimento l’uso del blu diminuisce perché con l’avvento della pittura ad olio è più difficile ottenere il vigore della colorazione propria delle pitture medioevali: per mantenere l’intensità di tono è necessario mescolare la pittura alla biacca (pigmento bianco), operazione considerata da alcuni un sacrilegio perché compromette la purezza del materiale.

Nel 1826 Christian Gmelin e Baptiste Guimet scoprono come produrre chimicamente il colore blu, portando a una svolta nella sua produzione. Nel 1960 il pittore Yves Klein utilizza una resina fissativa per ottenere un blu che mantiene l’intensità del colore puro dando origine all’IBK (International Blue Klein) per il quale l’artista ottiene addirittura un brevetto: un blu oltremare dall’aspetto opaco, quasi ipnotico, che riproduce perfettamente l’intensità del pigmento puro. Nel corso del Novecento il blu assume diverse connotazioni. Pablo Picasso lo impiega durante il “periodo blu” (1901–04), declinandolo nelle sue molteplici sfumature e attribuendogli una forte valenza psicologica ed espressiva. Per Vasily Kandisky il blu richiama l’idea dell’infinito, è il colore del cielo, della purezza e può essere paragonato al suono grave del violoncello o del contrabbasso, o a quello profondo dell’organo. Per Piet Mondrian è il colore della stasi, della quiete e dell’equilibrio. Per Henri Matisse è energia, espressione di forza e dinamismo. Per Ellsworth Kelly è colore fisico vibrante nel quale perdersi. La storia del blu, come quella di altri colori, costituisce un esempio del continuo mutare delle modalità di percezione, delle simbologie e dei codici nella scala di valori della società.

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Con gli occhi dipinti di blu.

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Il blu

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