Con il termine immagine s’intende la forma esteriore degli elementi corporei percepita attraverso il senso della vista. Ma questo non è il suo unico significato: le tante sfaccettature del termine sono evidenti già osservando la sua radice etimologica. Con il termine latino imago, oltre che figura, ritratto o effige, si intendeva anche sogno, idea e ricordo. Difatti ciò che è fisico o concreto ha una propria immagine, a prescindere che ci si riferisca alla figura di una persona, di una cosa, o a un insieme di più elementi. Ma accanto a questa definizione legata alla percezione visiva delle cose, ne esiste un’altra che è definita immagine mentale, data dalla capacità del nostro cervello di lavorare in maniera “iconica” e di pescare e attivare i dati della memoria.
Il concetto di immagine mentale viene approfondito da Aristotele nel IV sec a.C. nei trattati filosofici sul ricordo. Nel De memoria et reminiscentia, Aristotele definisce il ricordo come un insieme d’immagini collegate a sensazioni o pensieri, le cosiddette immagini mnemoniche. Per capire le dinamiche del ricordo, Aristotele porta l’esempio dell’immagine di un animale dipinto che, essendo al tempo stesso l’animale e la sua rappresentazione, diventa “reale” o “presente” solo quando attiviamo i dati immagazzinati nella memoria, cioè attraverso il ricordo che si ha di lui.
L’etimologia del termine immagine può essere anche ricondotta al sostantivo greco mimos, che vuol dire imitazione. Nelle arti visive, si parla di rappresentazioni figurative quando le immagini sono imitative della realtà, cioè aderenti al vero e riconoscibili. Ma in alcune correnti artistiche del XX secolo, eccetto Realismo e Iperrealismo, difficilmente le immagini imitano pedissequamente la realtà, piuttosto la evocano e la interpretano, offrendone possibili versioni.
Discostarsi completamente dall’osservazione del mondo e dalla sua imitazione comporta l’attivazione della capacità immaginativa, cioè della facoltà dell’uomo di immaginare. Nella lingua greca con eikasia si rimanda all’attività di immaginare, mentre con phantasia si intende l’attività di fantasticare. Pur essendo due atti diversi, entrambi presuppongono la creazione di immagini mentali, ma con una differenza ben chiarita nel 1936 da Carl Gustav Jung. Quest’ultimo sosteneva che generare riproduzioni mentali di oggetti della realtà corrisponde alla facoltà immaginativa, mentre alla fantasia spetta anche un’elaborazione estetica delle immagini mentali.
Un discorso a parte, invece, spetta alle immagini oniriche teorizzate da Sigmund Freud.
Secondo Freud, a differenza del pensiero che procede per concetti, il sogno si articola in una successione d’immagini che avviene senza un ordine logico e che è generata dall’inconscio e dalle relative emozioni e istinti. Sono queste alcune delle premesse su cui si fonda il grande movimento artistico dello scorso secolo, il Surrealismo, basato sulla traduzione in parole e immagini dell’irrazionale, per rivelare “il reale funzionamento del pensiero” (André Breton, Manifesto del Surrealismo, 1924).
Nel 1929 l’artista surrealista René Magritte realizza il famosissimo dipinto intitolato Il tradimento delle immagini, nel quale, sotto la rappresentazione di una pipa, scrive la frase “Questa non è una pipa”. L’artista riflette così sulla differenza tra la realtà e la sua rappresentazione, determinando una rottura nel nostro modo di ragionare: spesso nei dipinti surrealisti immagini realistiche e realtà non coincidono.
Recentemente è venuto meno l’assunto che solo la nostra mente sia in grado di generare immagini. Con il propagarsi di sistemi TTI (text-to-image) d’intelligenza artificiale (AI), i generatori d’immagini sono sempre più diffusi e di facilissimo accesso, grazie a comandi testuali e algoritmi capaci di creare qualunque tipo di immagine, da quelle più realistiche a quelle decisamente surreali e assurde.