Quando un colore o un suono si attenua nella sua intensità, determinando un graduale passaggio da un tono all’altro, si ottiene una sorta di dissolvenza, meglio definita con il termine sfumatura. Letteralmente il verbo sfumare vuol dire, infatti, dissolversi in fumo e viene usato come sinonimo di “venir meno” o “svanire”. Per questo, lo si adopera anche quando i contorni di un oggetto non risultano ben definiti e si ha visivamente un effetto di colore meno preciso o leggermente smorzato. Lo sfumato è anche il nome di una tecnica artistica che consiste nel generare piccole gradazioni luminose e velature e che, applicata alla pittura di paesaggio, si diffonde soprattutto grazie a Leonardo da Vinci (1452-1519). Sono famosi gli sfumati dei paesaggi dell’Annunciazione, 1472 degli Uffizi o del viso della Gioconda, 1503-06 in cui l’artista stende i colori con i polpastrelli per ottenere una luminosità soffusa e un’atmosfera avvolgente.
In termini metaforici, una sfumatura può connotare anche una comunicazione, verbale o scritta.
Nelle forme orali, un tono particolare o un’inclinazione emozionale può determinare l’uso di un linguaggio percepito talvolta ironico, talora polemico, oppure meschino o, al contrario, scherzoso. Diversamente, un pensiero espresso “senza sfumature” è un qualcosa che viene comunicato in maniera cruda, netta e non temperata. Certe sfumature linguistiche vengono meglio verbalizzate dal comunicatore e percepite da chi ascolta, quando due persone parlano la stessa lingua madre. È per questo, che in comunicazioni in lingue diverse o in ambiti ben circoscritti, le sfumature possono risultare incomprensibili quando ad esprimersi sono persone non “esperte”. Altra cosa sono le sfumature semantiche, e cioè i tanti significati che ciascuna parola può assumere in base al contesto in cui viene usata.
Davanti alle sfumature cromatiche, è proprio la lingua a risultare inadeguata: è difficile, infatti, incasellare ogni tono usando un termine preciso e lo stesso discorso vale con i suoni, impossibili da classificare in sole sette note. Tenta di risolvere il problema Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) quando, nei suoi scritti teorici, affronta il problema della nomenclatura dei colori e parla di sfumature riferendosi agli spazi intermedi tra le 4 principali tonalità (giallo, verde, azzurro e rosso) che, in base al livello di luminosità e intensità, possono presentare appunto un’infinità di nuances.
Per una più precisa classificazione delle sfumature, nel laboratorio di arazzi della famiglia Gobelins, lo studioso Michel Eugène Chevreul (1786-1889) crea un dispositivo per classificare le diverse gradazioni di colore e tinture in uso in fabbrica: il cerchio cromatico. Durante questo esercizio, Cheyreul scopre che accostando due colori complementari aumenta la luminosità di ciascuno di essi e si creano sfumature più o meno intense. Questa scoperta, insieme a quelle dell’800 sugli effetti ottici e sulla percezione, influenzano le poetiche di importanti artisti del neoimpressionismo, puntillismo e divisionismo. Ne è un esempio Gino Severini (1883-1996) che, in dipinti come Mare=Ballerina, 1914, ricrea un processo di miscelazione dei colori che avviene non fisicamente sulla tela ma nell’occhio di chi guarda.
Le sfumature di colore sono ben evidenti anche in dipinti come Finestre aperte simultaneamente, 1912 di Robert Delaunay (1885-1941) che, imitando gli esperimenti sulla luce di Issac Newton (1642-1726), simula su tela la scomposizione della luce del sole nel cosiddetto spettro dell’iride. Nel dipinto di Delaunay, i toni diafani dei colori dello spettro solare creano un ovale frammentato in cui i colori sfumano dal rosso all’arancio, dall’arancio al giallo, poi al verde e all’azzurro fino all’indaco e al violetto. Con ritmo incessante, l’occhio si sposta da una sfumatura all’altra seguendo relazioni di intensità, tono, valore.