La descrizione della terra, se da una parte rimanda alla descrizione del cielo e del cosmo, dall’altra rimanda alla propria geografia interiore. Italo Calvino, Il viandante sulla mappa, in Collezione di sabbia, Mondadori, Milano 1990

L’etimologia della parola “emozione” parla con chiarezza di una forza motrice, fisica: deriva dal francese émotion, dal latino tardo emovere, “trasportare fuori”. Il significato di “emozione” è dunque storicamente associato a uno spostamento, a uno spazio, e ha quindi un fortissimo senso geografico.
Le culture antiche erano animate da un’interpretazione sacrale del territorio. Lo spazio era considerato la modalità principale dell’essere nel mondo e si riteneva impossibile comprendere l’essenza dell’uomo indipendentemente dall’ambiente in cui viveva. Si pensava che l’esercizio del pensiero non fosse indipendente dallo spazio/luogo in cui si abitava e che determinasse gli atteggiamenti stessi dell’essere umano. Su queste riflessioni, Guy-Ernest Debord ha posto al centro della sua poetica l’influenza dei luoghi e dell’architettura sulle emozioni, proponendo una psico-geografia della città da modellare a seconda delle situazioni (emozionali). Addirittura, per il filosofo Martin Heidegger «abitare significa avere riguardo; e l’autentico avere riguardo si verifica quando noi fin da principio lasciamo essere qualcosa nella sua essenza, la riconduciamo a sé e la proteggiamo nella sua essenza» (Martin Heidegger, Costruire abitare pensare, in Saggi e discorsi, a cura di Gianni Vattimo, Mursia, Milano 1976). Partendo da queste considerazioni, negli anni novanta un gruppo di architetti e artisti, in particolare Eduardo Chillida, ha progettato degli edifici “poetici”, “emozionali”.
Nel 1654, nel tentativo di dare immagine a un paese interiore, seguendo il moto delle emozioni attraverso paesi, lande, fiumi, laghi, mari, isole, montagne, Madame de Scudéry, per illustrare il suo romanzo Clélie, disegnò una mappa intitolata Carte du pays de tendre (carta del paese della tenerezza).
Il doppio filo che lega emozione e geografia, arte e spazio, è difficilmente districabile: spesso sono i luoghi stessi a dettare la parola e il segno, a tradursi in ritmo, pensiero, gesto, a divenire un criterio di stile e fonte di ispirazione. Sarebbe infatti difficile pensare al canto della Terra desolata eliotiana senza lo sfondo delle metropoli irreali dell’Occidente. Lontano dalle torbide alchimie di Praga, senza dubbio Franz Kafka avrebbe parlato un’altra lingua.
In una nota dei Taccuini di Albert Camus, del maggio 1936, si legge: «Non staccarsi dal mondo. Non si fallisce nella vita quando la si pone in piena luce. Tutti i miei sforzi, in tutte le situazioni, le sventure, le delusioni, tendono a ristabilire i contatti. Contatti con il vero, anzitutto con la natura, e poi con l'arte di coloro che hanno capito, e con la mia se ne sono in grado. L'essenziale: non perdersi e non perdere ciò che di se stessi dorme nel mondo» (Albert Camus, Taccuini, Bompiani, Milano 2004). Camus qui palesa quell’unione sensibile rintracciabile in ogni opera d’arte, quella tra uomo e mondo, nella quale non prevale né l'io né il mondo in sé, ma piuttosto lo scambio esistente tra i due.

A livello artistico le influenze che il territorio, anche immaginario, esercita sul lavoro di pittori e scultori sono innumerevoli. Ad esempio, il pittore americano Barnett Newman, il cui stile è caratterizzato da zone variegate di colore in rapporti armonici di sottile equilibrio che tendono a dilatare lo spazio, desiderava fortemente «visitare la tundra, in modo da poter avere la sensazione di essere circondato sui quattro lati, in un totale abbandono allo spazio infinito» (Robert Rosenblum, La pittura moderna e la tradizione romantica del Nord da Friedrich a Rothko, 5 Continents editions, Milano 2006).
Ogni opera d’arte costruisce un paesaggio che è prima di tutto frequentato dall'artista, che ci conduce lungo una geografia emozionale, spirituale, che ha interessato e interessa, con risvolti differenti, molte pratiche artistiche: dalla pittura alla fotografia, dal cinema all'architettura, tutto l'immaginario che mette in relazione lo spazio e le identità. Ad esempio, per Vasily Kandinsky l’opera d’arte diventa un mondo a sé, con leggi proprie: non è l’equivalente di qualcosa che già esiste, ma è una nuova forma dell’essere che agisce sugli uomini attraverso gli occhi, suscitando risonanze spirituali. Il mondo oggettivo è un mondo invalicabile, l’arte vera non può che essere astratta, dello spirito e della geografia interiore dell’artista.
Paul Klee reinventa il mondo e rende visibile quanto di occulto e misterioso è racchiuso in esso ed è il primo artista a inoltrarsi nell'inconscio. L'operazione artistica è per lui simile a quella del ricercatore che, ricorrendo ai mezzi tecnici, rende visibili i microrganismi che non sarebbero visibili e che popolano le regioni profonde della memoria inconscia. L'artista è uno scienziato che rivela relazioni celate e le traduce in immagini che prendono la forma di architetture, di città immaginarie, labirinti, al cui interno si dipanano elementi organici, simboli, ideogrammi. Un mondo disseminato e disorientato che dichiara un desiderio imperioso di libertà.
Il Surrealismo, gravitante intorno ad André Breton, indaga una geografia tortuosa e labirintica dell’inconscio.
Lo scopo dell’opera del pittore Piet Mondrian è invece l’espressione sulla superficie dei rapporti proporzionali tra le zone e tra i colori, della struttura ideale dello spazio, intesa come la struttura stessa della coscienza e, quindi, come principio di ogni attività creativa. La sua ricerca di "purificazione" dei rapporti della forma e del colore lo porta a composizioni che consistono solo di linee verticali e orizzontali che formano delle croci. Osservando il mare, il cielo e le stelle, Mondrian desidera indicare la loro funzione plastica mediante una molteplicità di elementi verticali e orizzontali.
Nel Manifesto tecnico dello Spazialismo del 1951 Lucio Fontana scrive: «La vera conquista dello spazio fatta dall’uomo, è il distacco dalla terra, dalla linea dell’orizzonte». Nei suoi Ambienti e Concetti spaziali, emerge la tensione nei confronti di una concezione dello spazio, in questo caso cosmico, come entità non dominabile dall’uomo.
Molti artisti hanno, insomma, sviluppato una visione del mondo “geografica” nella loro ricerca di una forma di padronanza della realtà, o di coincidenza/espressione fra realtà esteriore e percezione interiore. L’arte ha infatti un legame tenace e profondo con il territorio: artisti e scrittori nutrono e indagano i luoghi che li circondano e che li abitano. Luoghi geografici (una città, una regione, un paesaggio); luoghi materiali (la casa, gli oggetti); luoghi immateriali ma legati a un “dove” fisicamente reale (le relazioni familiari, le amicizie, gli ambienti culturali, il contesto sociale e politico).

 

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